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Il giorno 14 agosto di settant’anni orsono ritornava alla casa del Padre don Romano Zambon pievano di Dardago per ben 46 anni, egli aveva quasi 80 anni essendo infatti nato il 20 agosto 1862, pertanto, quest’anno, in tale data egli compirebbe il suo 150 genetliaco.
Egli era il terzogenito, di cinque fratelli, di Giomaria ‘Pinal’ e Bastianel Santa, la madre morì quando egli aveva solo 6 anni, il padre si risposò con Maria Zambon con la quale ebbe altri 4 figli. Crebbe in una famiglia molto religiosa, era, per i tempi, di una vivacità inconsueta e di un intelligenza precoce, entrò molto giovane in seminario, fu molto assiduo negli studi tanto che a ventitre anni venne consacrato sacerdote.
Iniziò la sua missione sacerdotale non lontano dal paese natio difatti prese possesso della cappellania di S. Lucia, che allora come Budoia dipendeva dalla chiesa matrice di Dardago. Nel 1896 alla morte dell’allora pievano di Dardago, don Andrea Cardazzo, venne nominato 28° pievano della natia Pieve, e quivi rimarrà sino alla morte avvenuta, come già riferito, nel 1942. Affrontò la sua nuova missione con grande dinamismo e con forte volontà spronato dal dover essere spiritualmente guida ai suoi stessi paesani, agli amici ed ai parenti.
Ebbe molto a cuore la Confraternita del SS. Sacramento, tanto che nel suo primo anno di attività ne rifece lo statuto migliorando quello già vetusto del 1846, ebbe anche molto a cuore la conservazione e l’abbellimento della chiesa della Pieve, tanto che quando giunse la corrente elettrica ne fece fare l’impianto di illuminazione, uno dei primi nella diocesi. Preparava con puntiglio e scrupolo le omelie, tanto che oltre che predicare a braccio seguiva delle note scritte in antecedenza, non esitava a rimproverare, nominandoli od indicandoli, coloro i quali nella vita quotidiana avevano commesso qualche, diciamo, marachella.
Ciò però faceva mugugnare e spazientire i paesani che, non avendo il coraggio di lamentarsi direttamente con lui se la prendevano col padre Giomaria il quale a sua volta, riferiva a don Romano, in questi termini “Romano, Romano, credeve che ti che te so prete te me des manco pensiers, invethe te me in dae pì de chei altres†( Romano, Romano credevo che tu che sei prete mi dessi meno preoccupazioni, invece me ne dai più degli altri (figli). )
Era una persona molto schietta e molto coraggiosa, prova ne è il modo con cui, durante l’invasione austroungarica del 1917, controbatteva ed affrontava a viso aperto i comandanti delle truppe stazionanti in paese, rimproverando loro gli abusi e le prepotenze che la popolazione subiva. Aveva un carattere molto forte, era figlio dei suoi tempi non ammetteva insubordinazioni, era molto austero, e la sua figura alta e snella incuteva, in chi lo incontrava, rispetto e soggezione. Però era anche un pievano di cuore che non mancava occasione di aiutare sia spiritualmente che materialmente chi ne avesse avuto bisogno.
Fu anche un abile, paziente, ma rigido istruttore, infatti fu maestro di scuola, a Dardago, per un lungo periodo, aveva una dialettica molto penetrante ma quando qualche alunno oltrepassava i limiti del consentito non esitava ad usare le maniere, diciamo, forti, tanto che aveva sempre a portata di mano un frustino che all’occorrenza usava. Amava camminare ma, fino all’anno 1918 usava per spostarsi un cavallo col calesse, difatti, fino a qualche decennio fa, a fianco della canonica c’era la stalla del cavallo, poi a quasi sessant’anni imparò ad andare in bicicletta, ed in quei tempi ancora restii alle modernità la cosa da molti non venne approvata, comunque sia il nostro pievano non badò a critiche e per una ventina di anni la bicicletta fu il suo mezzo di trasporto, ma fu anche causa una caduta in bicicletta, nel novembre del 1941, che iniziarono i suoi guai fisici che di lì a dieci mesi lo portarono alla morte.
Molti furono, nella sua vita terrena i momenti di gioia e di soddisfazione ma molti furono anche quelli di sconforto e di conflitti sia interiori che esteriori, il suo forte carattere lo portò spesso ad essere in contrasto con i suoi stessi confratelli, soffrì molto per le continue lotte e discussioni campanilistiche che da secoli contrapponevano Dardago a Budoia e molto lo amareggiò il tramare fatto da qualche sacerdote, che portò, nel 1938, al distacco di Budoia dalla Pieve matrice.
Fu molto devoto alla Madonna Assunta, fu anche uno strenuo difensore delle usanze e tradizioni, siano esse religiose che civili del proprio paese, tanto che già in età avanzata non temeva di celebrare per tre giorni consecutivi alle rogazioni primaverili che si svolgevano a S. Martino ed a S. Tomè.
Fu a detta di chi lo ha conosciuto, attualmente vi sono rimaste ben poche persone, un uomo di fede senza malignità, né ambiguità, non scese mai in nessun campo a compromessi, fu una colonna portante della chiesa dardaghese, ebbe anche, in certi momenti delicati, la giusta fortezza e prudenza e fu portatore, per quasi mezzo secolo, di conforto, pace e fede alla propria gente ed a quella dei paesi viciniori. Questa è in una alquanto breve sintesi la cronaca della vita di don Romano Zambon, di aneddoti che lo riguardano ve ne sarebbero tanti da scrivere, ma noi ci limitiamo a regalare ai nostri fedeli ed assidui visitatori una inedita poesiola da lui scritta nel 1912, quindi giusto 100 anni or sono, in occasione del compleanno della sorella Rosa/Angela e che insegnò alla nipote Wilgeforte Bastianello ‘Codif’ (figlia di Rosa/Angela) che allora aveva 4 anni, e che poi ne visse altri 97.