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Scrivo alcune righe in occasione del 70° anniversario della morte di Don Romano del quale mi trovo ad essere l’ottavo successore nella guida pastorale di questa antica pieve. Che dire di lui? Non ho ricordi diretti, essendo nato otto anni giusti dopo la sua morte.
Fin dalla più tenera età entrando nel cimitero del nostro paese mi soffermavo accanto alla sua tomba rimirando quella figura austera e composta vestita di nero, che incuteva un grande rispetto e ammirazione. Leggendo quella dicitura sulla sua lapide “sacerdote integerrimo” mi domandavo cosa significasse.
Cresciuto e giunto al limitare della terza età mi rendo conto quanto siano impegnative quelle parole: già è un’impresa essere sacerdote, essere anche integerrimo diventa un eroismo. La mia conoscenza di lui è giunta mediata dai racconti di chi lo ha conosciuto: mia mamma, i miei nonni, le persone più anziane.
Descritto come uomo austero, rigido nei confronti dei costumi, parlava poco ma predicava lungo.
E poi i soliti apprezzamenti nei confronti dei preti di quell’epoca: “accarezzava” con la “canna gargana” schiene e teste dei più riottosi, oppure dava strattoni nervosi di mano ai capelli dei malcapitati. I bambini che giocavano sugli incroci delle strade sparivano al suo apparire, temendo di non sapere come salutarlo, rimediandosi così qualche rimbrotto o peggio manrovescio. Ai genitori consigliava di non far vedere ai figli il bene che gli si vuole per non perdere il rispetto ed il timore necessari ad una sana educazione, ed al non far infiacchire le nuove generazioni. Tempi da lupi. Se allora ci fosse stato il telefono azzurro sarebbe stato in continua ebollizione.
Non ci si rende conto come, ad un certo punto della sua vita, avesse desiderato entrare nella congregazione salesiana del Don Bosco, con un carattere così rigido. D’altra parte però altre testimonianze lo descrivono come un uomo di preghiera e di forte spiritualità, attento alle vicende dei suoi parrocchiani, vicino alle sofferenze e alle necessità dei più poveri, accompagnando col consiglio e la preghiera i suoi figli costretti a lasciare il paese per cercare pane e lavoro in Italia o all’estero.
Favorì ed aiutò, come tutti i preti dell’epoca, il sorgere e l’affermarsi delle cooperative sociali e di mutuo soccorso. Erano tempi calamitosi: la miseria, le malattie, le continue guerre, la dittatura creavano profondi disagi: lui era lì a confortare, a incoraggiare, a sostenere il suo gregge, sempre presente! Il Signore gli ha fatto vedere solo una fase della seconda terribile guerra e gli ha risparmiato il resto.
Anche la morte sopraggiunse a causa del suo ministero sacerdotale. Il 20 novembre del 1941 essendo andato a cercare un prete che lo aiutasse per la festa della Madonna della Salute, cadde con la bicicletta in un fosso d’acqua e rimase lì tutta la notte. A causa di quella caduta il 14 agosto 1942, a sei giorni dal compimento dei suoi 80 anni (20 agosto) supplicando Maria: “Assunta prendimi”, la Madre lo prese e lo accompagnò presso Dio.    

Don Maurizio Busetti