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Cordiali cittadine e cittadini italiani, siamo insieme in questa giornata per festeggiare l’Unità Nazionale e le Forze Armate, in ricordo di tutti gli italiani che hanno combattuto per difendere la nostra patria e per difendere i diritti senza i quali non esisterebbe la dignità del nostro popolo. Oggi ricordiamo il sacrificio dei nostri soldati per consegnare ai posteri un Paese in cui potesse crescere una civiltà basata sul lavoro, sul rispetto della persona e su un’idea di futuro in cui il bene comune fosse alla base del benessere individuale. Noi tutti partecipiamo quotidianamente a questo processo, forse non ce ne rendiamo conto, non ne siamo pienamente consapevoli, ma rispettare la Costituzione italiana vuol dire esercitare il diritto dovere di essere italiani, vuol dire dare significato a tutti coloro che hanno perso la vita affinchè noi esercitassimo questo diritto dovere, frutto di un susseguirsi di difficoltà che il nostro Paese ha affrontato e superato con una coralità espressa nel rispetto della nostra bandiera. Rispettare la Costituzione vuole dire rispettare innanzitutto il primo articolo

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Una Repubblica democratica fondata sul lavoro, mi chiedo spesso il significato di questo articolo, non l’articolo in sé perché è chiaro quanto esprime, ovvero senza lavoro non può esserci una visione comune, un grado di appartenenza che lega gli uni con gli altri nell’interesse generale di ciascun individuo, la domanda che mi pongo spesso è: perché questo è il primo articolo? E’ plausibile pensare che alla fine di una guerra i padri della Costituzione al primo articolo potessero dire che l’Italia si fonda sulla pace, invece no! Sul lavoro!
Questo periodo mi aiuta a trovare la risposta, questo periodo che diventa sempre più una fase storica per il nostro paese; la crisi del lavoro aumenta e mi aiuta a capire che senza lavoro è difficile stare assieme, senza lavoro si perde la serenità e quindi la capacità di leggere il significato delle cose, l’importanza delle persone, l’interesse verso la comunità.
Chi perde il lavoro si allontana dalla società e spesse volte finisce in un tunnel che lo porta verso la morte, e in paesi come i nostri dove la cultura del lavoro è il cemento delle comunità, l’assenza di lavoro è in grado di distruggere come un terremoto, senza il cemento le pietre cadono e sotto le pietre resta l’uomo.
Mi è chiaro quindi che dal lavoro si passa all’esercizio della sovranità del popolo, allora questa è la nostra guerra, la guerra per il lavoro, e come tutte le guerre che fanno parte del nostro passato si può vincere solo con l’impegno di tutti verso un obiettivo, perché senza lavoro non vi può essere la pace, quindi come hanno ben previsto chi ha scritto la costituzione, il lavoro è una condizione iniziale da cui seguono i diritti doveri, senza i quali questi ultimi cadono facendo crollare un’idea di paese Vorrei che questo 4 novembre sia un impegno di ognuno verso il lavoro per un interesse nazionale; questo lo dobbiamo ai nostri soldati, a tutti coloro che da Dardago, Budoia e S.Lucia hanno lasciato le loro case per portare la loro vita lontano, donandola per un futuro migliore, e ogni tanto dobbiamo fermarci davanti ai monumenti per leggere i nomi di questi uomini generosi. Vorrei anche ricordare chi è tornato, oggi è presente con noi Lucio Carlon, 92 anni, reduce dell’eccidio di Cefalonia, che come ha evidenziato il Presidente Ciampi qualche anno fa, è stato il primo passo della resistenza, il primo passo per dare una dignità al popolo italiano.
Assieme a Lucio Carlon erano presenti a Cefalonia altri compaesani nella Divisione Acqui, Ilario Zambon, Costante Zambon, Giovanni Zambon, Sante Zambon, Ferruccio Del Maschio, Vincenzo Bastianello, Bruno Pusiol e quest'ultimo non è riuscito a ritornare alla propria casa, per ricostruire il proprio paese.
Salutiamo in questa occasione i nostri militari all’estero, con l’augurio che tutti i soldati possano ritornare alla propria casa, vorrei che anche i due marò ritornassero a casa, perché ricordiamoci che loro erano in servizio per l’interesse del nostro Paese, per proteggere i nostri interessi nazionali, e mi viene difficile pensare che due militari italiani abbiano fatto delle azioni contro i loro principi di uomini, di militari, di italiani; e più passa il tempo più è evidente che stanno pagando un prezzo che non è frutto delle loro azioni, ma di qualcosa d’altro, e loro pagano il prezzo dell’ingiustizia.

    Il Sindaco di Budoia
Roberto De Marchi