Il suono delle campane lo sveglia del tutto:
- Che temp elo stamatina? Mmh, quasi da ploia. Niente bicicletta, unquoi: vade a fa doi pass in tel bosc.
Sono le sette e trenta del mattino, il silenzio è interrotto solo dai merli che mangiano l’uva e le olive nel cortile. Mentre cammina lungo via San Tomé gli giunge da una finestra la voce di una vecchia, su tuttoancora il silenzio che ama. In due passi arriva alla rosta, lo accoglie il rumore dell’acqua: - Senti l’aga come che la cor, co duta la ploia che l’è stada. El tubo el buta, come quan che el rujal el funthionava.
La salita lo sveglia del tutto ed eccolo davanti al “mulin de Bronte”, l’acqua si getta dal muro che sostiene il rujal e non trova la ruota che muoveva la macina, ma gli rallegra l’animo e lo porta indietro nel tempo:
- I à fat proprio un bel lavoro chei che i à restaurat el rujal: cà no mancia altre che la roda del mulin, pararave de esse tornadi indrio de thinquanta ani. I era bravi na volta a portà cassù la blava e el forment e portasse indrio la farina: la strada la tira. Chissà se i vigneva co la careta e le vace o el mus o magare co la cariola!
Nel mattino un po’ nebbioso i colori sono tenui, su tuttidomina il viola dei ciclamini ora più ora meno acceso, sommessi sono i rumori del bosco come il mormorio dell’acqua che accompagna i passi e li guida a ritroso verso San Tomè. Tra l’erba e i fiori sono posate le pietre del rujal, esempio di architettura d’acqua che ricorda opere antiche (un amico una volta gli ha chiesto: Ma è un’opera romana?)
Esce dal bosco e si avvia lungo l’Artugna, compare per poco il sole mentre un altro scorrere d’acqua arriva dal basso: al rujal si sostituisce l’artugna, con la montana.
Il sentiero scivola tra i sassi grigi, i ginepri e l’ erba: - Me vin in ment quan che ereane canais e feane i trois tel presepio, in mieth al lisp, col savalon o co la semola -.
La valle si stringe poco a poco, a destra gli sfasciumi della vecchia cava, ormai coperti dal bosco,
poco dopo il sentiero sale a raggiungeredi nuovo il rujal, l’erba di un verde più intenso, ancora ciclamini, umidità.L’Artugna scorre alcuni metri sotto e dopo pochi passi appare la prima cascata, dove il rujal inizia a raccogliere l’acqua. – Quanta aga! Somea de esse in mont, tele dolomiti, quan che la neif la se descola. Vedeto che bravi, i à metut a posto le prese de l’aga -. Si siede per qualche minuto a guardare lo spettacolo noto ma ogni volta nuovo dell’acqua che scorre e salta, forse la nostalgia fugace per un tempo che nonha vissuto lo coglie per un attimo, ma poi si alza per avviarsi lungo il sentiero, verso i crep e la glesia de San Tomè. Ma dopo pochi passi: – Scuminthia a plove, mejo che torne a ciasa: cà a l’è aga dapardut -.Girate le spalle alla Val Granda si incammina sotto gli alberi seguendo l’argentea e mobile linea che gli indica la direzione, così dritta che sembra non appartenere al bosco. Acqua e pietre ai due lati del sentiero, poi solo i sassi dell’Artugna. Al rumore dell’acqua si aggiunge, sovrastandolo per un attimo, il fischio del falchetto.