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Il mio “pensierino” per l’anno nuovo è di riuscire a trovare quel secondo in più tanto speciale quanto lo è il suo fratello maggiore (minuto) di questa favola di Diego Valeri.
      Clelia
       
       

Era la sera di Natale. Tutti attendevano la mezzanotte. I bambini più piccoli dormivano da tempo e sognavano i doni che avrebbero trovato al mattino. I bambini più grandi guardavano l'orologio e le lancette che lentamente si avvicinavano alla mezza notte. Tutti i caminetti della città aspettavano la mezzanotte.

Anche il cielo aspettava la mezzanotte.

Le undici erano già suonate, le undici e mezzo, le undici e tre quarti. Tutti attendevano la mezzanotte per far festa. E allora, vedendo che la sua assenza non poteva far male a nessuno, un minuto, che precedeva di poco la mezzanotte, se ne uscì dalla sua ora e se ne andò per conto proprio. Le lancette degli orologi fecero un piccolo salto, ma nessuno se ne accorse.

Mezzanotte suonò. Le vetrate si illuminarono, i piccoli Gesù di cera e di porcellana furono messi nelle mangiatoie preparate per loro in ogni casa. Da ogni parte si levarono canti, vibravano le canne dell'organo; le preghiere salivano al cielo e le fiamme oscillanti delle candele si riflettevano nei candelieri d'argento.

Intanto il minuto fuggito svolazzava per il mondo.

Minuto fuggito, minuto libero, libero finalmente, svincolato dal ciclo del tempo, libero di andare dove voleva. Il minuto andava per il mondo, posandosi dove lo chiamavano: sull'otto-volante delle fiere dove si facevano due giri invece di uno e i bambini dicevano: «Che fortuna!». Sul treno fermo in stazione, affinché la vecchia donna che correva affannata avesse il tempo di prenderlo.

Si fermava per trattenere un minuto il ladro cattivo, quel minuto che dava alle guardie il tempo di arrivare. Si fermava sulla camionetta della polizia quando l'inseguito era un disgraziato. Gli alpinisti in pericolo avevano quel minuto in più di resistenza, che lasciava ai soccorritori il tempo di arrivare fino a loro. La maestra scendeva dalla cattedra per raccogliere il compito di aritmetica e i bambini supplicavano in coro: «Signorina, per piacere, ancora un minuto!».

E lui, il minuto fuggito, si fermava e li accontentava. Si posava poi sulla mano del Capo di Stato che stava per firmare una dichiarazione di guerra, sulla leva del lancia-bombe pronta a scattare, sul carro armato brutale, pronto a dirigersi sulle folle. E così qualcuno aveva tempo di dire una buona parola al Capo di Stato, la città da bombardare era sorpassata e la bomba cadeva in mare, il soldato sul carro armato si fermava e nessuno caricava la folla. Grazie a quel minuto vagabondo, nel mondo tutto procedeva allegramente. Ma in ogni paese qualcuno cominciò a preoccuparsi:

«Nella notte tra il ventiquattro e il venticinque dicembre, nell'ultimo quarto d'ora precedente la mezzanotte, un minuto è scomparso, non è trascorso, è uscito dal giro del tempo. Da allora non funziona più nulla; questo minuto vagabondo si aggira per il mondo rovinando tutti i nostri calcoli. E' un minuto in più, un minuto che salta qua e là, falsa gli orari e sfida le nostre previsioni. Bisogna catturarlo e gettarlo nel fiume del tempo passato».

«Perché?», diceva un vecchio saggio. «Un minuto fuggito la notte di Natale può far tanto male? Mi sembra incredibile!». «Sfida le nostre previsioni!», gridavano gli astronomi e gli orologiai. «C'impedisce di aver ragione. Il sole non spunta più all'ora esatta. Gli aerei, i treni, le stelle non seguon più gli orari prestabiliti».

Il minuto, sentendoli così inferociti, sorride nel cuore di minuto inafferrabile. E ogni volta che un uomo di scienza crede ormai di averlo preso, si posa su di lui e lo ferma. Lo ferma per un minuto, proprio il tempo di un sogno, il tempo di pensare: «Perché no?». Proprio il tempo di scrivere la prima riga di una poesia.