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Partiamo allora dalla FAVOLA. Tele come fogli di quaderno di scuola su cui raccontare le storie, e colori ad olio come pastelli per materializzarne la luce. Con questi mezzi Gigi Zambon, intreccia –tra percezione e memoria- le sue “favole”. Esse cominciano da un’idea semplice quanto un facile e antico gioco, poi si fanno complesse ed enigmatiche FINZIONI. Penso ad alcuni di questi dipinti: verdi pianure che si stendono sino all’ultimo orizzonte, simili al mare e poi nubi, ovvero ombrellini o copricapi femminili che sfuggono veloci spinti dal vento, alla maniera di aquiloni librati nell’aria; oppure qualche gentile alberello aureolato da ambigue costruzioni di carta ritagliata, quasi a colmare distese di cieli immensi e cangianti; altre volte sono scatole magiche che, come ventri materni, liberano fantastiche creature; se no “collane” di bambine uniformi e senza volume, intente in girotondi cosmici.
la Zambon, con queste sue opere, invita lo spettatore ad affacciarsi alle finestre dell’immaginazione, per lasciarsi andare in un viaggio tra fiaba e fiaba, attraverso giardini segreti e strade invisibili, incrociando curiosi oggetti dispersi e polverii di anime. Queste quanto le altre immagini, sono immerse in un’”aria” anteriore, retrò: vivono l’”ambiente” labirintico della memoria.
Una seconda lettura dei dipinti fa registrare visibili segnali di archetipi simboli –tra loro dialettici-, come filiazioni significanti delle immagini. Da questo impianto fiabististico balza per primo all’occhio certa “circolarità” ricorrente, come metafora di una perfezione atemporale, senza inizio e senza fine; poi le citazioni allegoriche dell’Amore, come incantati segni di grazia; e ancora, i continui ritorni della carta piegata, sotto forma di ingenuo gioco di “origami”, da cui l’artista sottrae, accuratamente, silhouettes di bambole-bambine come presenze-assenze di un’insistente immagine dell’anima. Anche altri spunti segreti si potrebbero scoprire, se ci soffermassimo ancora con attenzione in questa lettura.
Così la perdita del primo e più facile significato di queste “storie” diverse, a favore dell’ambiguità tra piano del contenuto e piano dell’espressione, come la metafora o addirittura il trasferimento semantico di certe figure, fa emergere l’intenzione più riposta e autentica della Gigi Zambon: quella del discorso poetico.

    Carlo Masi